Il Senato ha dato il primo via libera al ddl Calderoli sul trasferimento di competenze alle Regioni. La palla ora passa alla Camera. Le opposizioni sulle barricate annunciano battaglia: “Spacca l’Italia”
Con il primo via al Senato al ddl Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni, storica battaglia del Carroccio, si è tornati a parlare di Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, dalla salute all’istruzione. Un tema cruciale che investe i diritti civili e sociali dei cittadini su cui molta strada resta da fare.
Cos’è l’autonomia differenziata
Il disegno di legge che vede come primo firmatario il ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, attua la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, dedicato agli enti locali. L’articolo 116 in particolare prevede che le regioni a Statuto ordinario possono richiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” su 23 materie, espressamente indicate nel successivo all’articolo 117: venti di competenza “concorrente” e tre esclusive dello Stato: si va dalla salute all’istruzione, dall’energia all’ambiente passando per trasporti, commercio estero, cultura e sport.
Cosa sono i Lep, i livelli essenziali delle prestazione
Lo stesso articolo 117 della Carta prevede che sia lo Stato, in via esclusiva, a determinare i Lep. In molti ambiti tuttavia non sono stati ancora individuati i livelli essenziali. Da qui l’erogazione a macchia di leopardo di molti servizi sul territorio nazionale. È il caso di quelli socio-educativi, come gli asili nido. Del resto non è la prima volta che si tenta di definire i Lep. Ci aveva già provato il governo Berlusconi nel 2009 con la legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale.
All’origine del ritardo c’è l’aggravio di spesa per le casse dello Stato che deriva dall’individuazione dei livelli essenziali. Lo Stato infatti oltreché definire i servizi deve anche garantire le risorse sufficienti per garantirne l’erogazione omogenea sul territorio in modo da evitare squilibri tra regioni, in linea con il dettato costituzionale.
Stabilire i livelli essenziali peraltro è un compito gravoso che implica una serie di passaggi complessi, a cominciare dalla mappatura dei servizi offerti sul territorio da ciascun ente locale. È necessario poi valutare i livelli di spesa e dei servizi erogati oltreché determinare i costi e i fabbisogni standard, in modo da stabilire se le risorse a disposizione siano sufficienti o se siano necessari fondi aggiuntivi.
Cosa prevede il ddl Calderoli
Ora la marcia del ddl Calderoli, con contorno di bagarre tra maggioranza e opposizioni, prosegue alla Camera con l’obiettivo di portare a casa il sì definitivo prima delle elezioni europee di giugno. Almeno queste sono le intenzioni della Lega, che vorrebbe giocare la carta della devoluzione in campagna elettorale. Con undici articoli, il testo definisce nel dettaglio le procedure legislative e amministrative per l’attribuzione di maggiori competenze alle regioni che ne fanno richiesta, sulla base di un’intesa con lo Stato.
Il trasferimento è subordinato alla determinazione dei Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. La definizione dei Lep avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. L’autonomia differenziata prevede anche la possibilità, da parte delle stesse regioni, di trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni dei servizi per impiegarlo sul proprio territorio.
Il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl per varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Mentre Stato e Regioni avranno tempo cinque mesi per arrivare a un accordo. L’intesa può durare fino a dieci anni, può essere rinnovata oppure interrotta in anticipo previo avviso di almeno 12 mesi.
È prevista anche una “clausola di salvaguardia”. In sostanza il governo può sostituirsi alle Regioni quando si dimostrano inadempienti oppure quando si verifica un pericolo grave per la sicurezza pubblicato o è necessario intervenite per tutelare l’unità giuridica o economica.
Il nodo dei finanziamenti
Per evitare squilibri economici e ridurre i divari territoriali fra le regioni, è previsto inoltre un meccanismo perequativo. Secondo un emendamento presentato da Fratelli d’Italia e approvato al rush finale in Commissione, a tutte le Regioni, anche a quelle che non chiedono l’autonomia, arriveranno le stesse risorse per il finanziamento dei Lep. Il punto critico è l”invarianza di spesa”. La misura, in sostanza, deve essere “coerente con il vincolo degli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”. In pratica, denunciano le opposizioni, non c’è garanzia sulle coperture finanziarie tale da scongiurare il pericolo che la riforma “spacchi” il Paese. In origine era stato previsto un fondo le Regioni di quasi 5 miliardi, ma poi è stato prosciugato dal ministero dell’Economia precisando che la riforma va attuata a bilancio invariato.
Opposizioni sul piede di guerra: “Il governo spacca l’Italia”
Le opposizionisono sulle barricate e promettono “battaglia” dentro e fuori il Parlamento. A cominciare dal Partito democratico. “La nazionalista Giorgia Meloni vuole passare alla storia per essere la presidente del Consiglio che ha spaccato l’Italia. È una giornata molto pesante. Meloni avvera il sogno secessionista della Lega. Ha ceduto a questo orrendo baratto per fini politici, per la riforma del premierato che cancella la Repubblica parlamentare, mettendo a repentaglio l’unità nazionale“, ha attaccato la segretaria del Pd Elly Schlein alludendo al ddl Casallati che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La “madre di tutte le riforme”, secondo la leader di Fratelli d’Italia. “Noi ora proseguiremo la battaglia parlamentare alla Camera ma serve una mobilitazione con tutte le altre forze politiche e sociali innanzitutto per spiegare gli effetti devastanti dell’approvazione di questa riforma”.
Stessi toni dal Movimento 5 stelle: “La battaglia continua in Parlamento e continueremo a farla in tutte le sedi: nelle Istituzioni e nel Paese”, ha detto il leader del M5s Giuseppe Conte. “Con il voto al Senato su uno scellerato progetto di Autonomia, spacca il Paese e svende il Sud a Salvini: lasciano in un vicolo cieco i territori più svantaggiati del Paese, anziché rilanciarli per il bene di tutti. Cade la maschera: non ci sarà nemmeno un centesimo per finanziare i servizi essenziali nei territori più fragili, visto che il progetto è vincolato all’austerità di bilancio. Rischiamo di avere venti sistemi regionali in ordine sparso che danneggeranno anche il Nord”.
La maggioranza: “Giornata storica”
La maggioranza di centrodestra invece festeggia. In testa il Carroccio. “È un passo importante verso un Paese più moderno ed efficiente, nel rispetto della volontà popolare espressa col voto al centrodestra che lo aveva promesso nel programma elettorale”, il commento del segretario della Lega Matteo Salvini. Secondo il padre della riforma Calderoli, “si è compiuto un ulteriore passo avanti verso un risultato storico, importantissimo e atteso da troppo tempo”.