La sfida fra due giovani donne riporterà i ragazzi a votare? Chissà, sta di fatto che la premier Giorgia Meloni adora il confronto con la Schlein, scopriamo perché
La scorsa settimana alla Camera si sono svolte le audizioni di Giuseppe Conte e Giorgia Meloni nell’ambito del giurì d’onore, cioè la commissione d’indagine chiesta a metà dicembre dal presidente del Movimento 5 Stelle per stabilire se la presidente del Consiglio abbia effettivamente leso la sua onorabilità, come sostiene Conte.
Alla base di questo dissidio c’è la vicenda del MES, il Meccanismo europeo di stabilità che garantisce un fondo di sicurezza a Stati membri dell’Unione Europea e banche sistemiche dell’Europa in crisi.
Meloni in parlamento aveva fornito una ricostruzione piuttosto distorta di come i precedenti governi, e in particolare i due guidati da Conte, avessero gestito le trattative europee sul MES.
Conte, a quel punto, ha deciso di ricorrere al giurì d’onore, dove a giudicare saranno cinque deputati. Le audizioni dei due contendenti sono secretate, così come le riunioni dei deputati chiamati a valutare e coordinati dal vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, di Forza Italia.
Nelle stesse ore in cui si consuma questo scontro insolito e riservato, di cui a fatica si potrà avere una ricostruzione completa, i collaboratori di Meloni stanno definendo con lo staff della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein l’intesa per organizzare un confronto televisivo tra le due leader.
È un segno del fatto che Meloni, almeno sul piano mediatico, preferisce confrontarsi con Schlein, che considera la sua rivale e interlocutrice principale. Non è una scelta di oggi: Meloni da tempo ha individuato nei dirigenti del Partito Democratico i suoi avversari più diretti, ma per capire il perché bisogna tornare alla scorsa campagna elettorale.
Nella sfida per le elezioni del settembre 2022, quelle che avrebbero poi sancito il trionfo di Fratelli d’Italia e la conseguente nascita dell’attuale governo di destra, Meloni aveva partecipato a numerosi confronti e dibattiti con il segretario del PD dell’epoca, Enrico Letta, al punto che lei stessa ironizzò su questa ricorrenza di incontri dicendo che “siamo Sandra e Raimondo della politica”, con riferimento alla storica coppia televisiva Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
All’epoca era conveniente per entrambi perché garantiva una sorta di reciproca legittimazione: Meloni poteva togliersi di dosso le accuse di autoritarismo e allontanare da sé l’immagine di leader urlatrice e indisponibile al confronto, mentre Letta, nell’affannosa raccolta di consensi, diventava il contendente unico di Meloni, nella speranza di riuscire ad accaparrarsi tutti i voti di chi temeva una vittoria della destra sovranista.
Anche dopo la vittoria, la tattica è rimasta la medesima anche con Schlein, eletta segretaria del Partito Democratico nel marzo del 2023, il tutto inaugurato con un confronto alla Camera durante un question time in cui la Schlein interrogò Meloni sulle politiche per il lavoro e sul salario minimo.
Ma anche nella corrente di sinistra del PD, in effetti, ci sono malumori: è il caso dell’ex ministro Andrea Orlando, per esempio, che nell’ultimo periodo si è intestato varie battaglie, sia sulla politica estera sia su giustizia e lavoro, con lo scopo di suggerire al PD una condotta più radicale e di facilitare un’intesa strutturale col M5S.
Nel complesso, però, un po’ tutti nel PD sono scontenti perché non comprendono le intenzioni di Schlein, che è una leader che tende a condividere le sue riflessioni coi pochissimi collaboratori stretti di cui si fida, per lo più estranei alle strutture e alle gerarchie del partito.
Meloni è convinta che spingendo Schlein ad accettare uno scontro diretto, inevitabilmente molte di queste contraddizioni della leader del PD verrebbero esasperate.
In generale, i consiglieri di Meloni prevedono che Schlein punterebbe molto nella critica ideologica, rinfacciando a Meloni le sue ambiguità nella condanna delle manifestazioni neofasciste e nella gestione dei suoi rapporti con leader europei sovranisti ed estremisti, come l’ungherese Viktor Orbán, la francese Marine Le Pen o il polacco Mateusz Morawiecki.
C’è poi una questione che riguarda l’oratoria: i dirigenti di Fratelli d’Italia hanno notato una cosa che un po’ tutti i cronisti parlamentari sanno, ovvero che la Schlein tende a evitare il più possibile i confronti diretti con la stampa, specie se non sono pianificati e preparati con cura insieme al suo staff.
Più in generale, Schlein anche alla Camera si muove di rado senza essere accompagnata dal suo portavoce, il giornalista Flavio Alivernini e quasi mai accetta di dire qualcosa di estemporaneo ai giornalisti che le fanno domande fuori dell’aula. Tutto ciò trasmette l’impressione di una leader timorosa, dotata di una capacità dialettica non proprio straordinaria.
Lo staff di Meloni ritiene che queste difficoltà di Schlein potrebbero risaltare in un confronto diretto, dove inevitabilmente bisogna saper rispondere a colpi bassi e a provocazioni dell’avversario, o reagire a situazioni impreviste.
In questo Meloni è sicuramente molto esperta e navigata, anche grazie a una carriera politica ormai ventennale segnata da numerosi scontri politici animati e spesso anche feroci, sia in televisione sia in parlamento.
Infine c’è il PD: Meloni sa che ha di fronte la leader del partito che più di ogni altro negli ultimi dieci anni ha tenuto una condotta responsabile e istituzionale, seguendo in modo fedele le indicazioni del presidente della Repubblica e rappresentando più di tutti i valori dell’europeismo.
Per queste ragioni potrebbe indirettamente rinfacciare a Schlein di essere la rappresentante del cosiddetto establishment, proponendosi al contrario come la leader di un partito che solo da poco più di un anno è al potere.
È una linea già seguita da Meloni di recente: quando Schlein ha denunciato il problema dei salari bassi, la presidente del Consiglio ha replicato dicendo che a impoverire gli italiani erano stati i governi guidati dal centrosinistra negli anni precedenti.
Questo è un ulteriore motivo che spiega piuttosto bene perché Meloni preferisca il confronto con Schlein e non con Giuseppe Conte, il quale non disdegna le posizioni populiste e in un certo senso estreme, quando si trova a confrontarsi con i suoi rivali, spesso anche rinnegando le sue stesse scelte e rinunciando, con leggerezza, a qualsiasi forma di coerenza.
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