Rifiuti radioattivi, interviene il direttore del deposito nazionale (Sogin)

Nell'intervista di Andrea Moccia geologo e divulgatore scientifico sulla pagina Facebook Geopop, il direttore Fabio Chiaravalli dà delle delucidazioni sul futuro del deposito nazionale di rifiuti radioattivi

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In una intervista di Andrea Moccia, geologo e divulgatore scientifico, proprietario della pagina Facebook Geopop con più di 500mila followers, il direttore Fabio Chiaravalli del deposito nazionale di rifiuti radioattivi della Sogin spiega alcuni aspetti del progetto e i vari step che porteranno poi alla realizzazione della struttura.

Partiamo subito da un concetto: l’Italia ha la necessità di avere un deposito nazionale poiché i rifiuti radioattivi che produce dalle attività di diagnostica e terapia medica, di ricerca scientifica, di industria agroalimentare e dai controlli di produzione industriale sono oggi stoccati in depositi temporanei. Un argomento di cui si è ampliamente discusso negli anni passati. Ce lo chiede l’Unione Europea (articolo 4 della Direttiva 2011/70) la quale prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati. La maggior parte dei Paesi europei si è dotata o si sta dotando di depositi per mettere in sicurezza i propri rifiuti a bassa e media attività. Anche l’Italia, dopo i numerosi ritardi nel recepimento della direttiva in materia, deve necessariamente adeguarsi.

Nell’intervista di Geopop il direttore Chiaravalli fornisce maggiori informazioni a partire dalla redazione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) alla progettazione per lo stoccaggio dei rifiuti.

Tra i vari punti analizzati, Chiaravalli precisa la volontà di individuare un solo sito tra le 67 aree potenzialmente idonee e che il deposito nazionale non è un impianto in cui c’è un processo produttivo né tantomeno è una discarica.

Il progetto dovrebbe prevedere due tipologie di risorse: quella di cantiere con 2mila unità all’anno per quattro anni e quella a regime di 700 unità con un valore di investimento pari a 1,5 miliardi di euro e per il territorio uno sviluppo economico indotto superiore all’investimento.

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